Quando arriva giugno gli alberi di tiglio ricominciano a cantare. La loro è una canzone fatta di polline sottile, di api che ronzano sommesse, di foglie che piano si strusciano l'una sull'altra mentre il Sole occhieggia tra i rami. Per cogliere tutto questo occorre porsi sotto l'albero, esserne avvolti come un ombrello che in parte ti isola da ciò che costantemente cerca di caderti addosso.
Il profumo no. Il profumo del tiglio ti viene incontro, ti sorprende all'improvviso dalla bocchetta d'aerazione dell'auto mentre stai guidando, o la mattina quando apri la finestra. E' dolce, di una dolcezza che dà conforto, quasi.
Per me il profumo del tiglio significa soprattutto ricordo. Ricordo di quando, da bambina, con nonno Marcello si andava al parco Bucci di Faenza a dare il pane secco alle papere ed ai cigni. Per lasciare un po' di pelle dei polpastrelli sul metallo nero rovente della locomotiva, parcheggiata all'interno e liberamente scalabile. La piadina o la pizza fritta dalla baracchina, i lupini, i bagigi, i pensieri liberi...
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